America 1929: sterminateli senza pietà”. (Boxcar Bertha)
Regia: M. Scorsese
USA, 1972, durata: 87 m., colore
Trama:
“Boxcar Bertha (B.Hershey), una ragazza
sconvolta dalla morte del padre in un incidente sul lavoro, si unisce a un
sindacalista (David Carradine) e a un giocatore d’azzardo (Barry Primis) con i
quali condivide una vita da vagabonda e da fuorilegge nelle campagne americane
impoverite dalla grande depressione del
’29. L’altra faccia, ribelle e non metropolitana, dell’America degli anni
Trenta in un film duro e avvincente. Dal romanzo autobiografico di Bertha
Thompson, “Boxcar Bertha”, è una delle prime regie di Scorsese, che già mostra
tutte le sue qualità e che appare brevemente come cliente del bordello.” (dal
Mereghetti).
Scorsese non ha bisogno di presentazioni: è un
regista che ha fatto e continua a fare la storia del cinema. Già realizzatore
di molti capolavori, è conosciuto in tutto il mondo.
“Boxcar Bertha” è il film che precede “Mean
streets”. E’ il suo secondo lungometraggio. In quel periodo era in contatto con
Roger Corman e la sua factory, addirittura avrebbe dovuto essere il sequel del
film girato dallo stesso Corman: “Il clan dei Barker”(1970).
L’opera richiama sullo sfondo quella crisi che
sconvolse gli equilibri di allora: l’America,
infatti, si popolò di vagabondi che cercavano un lavoro occasionale per sfamare
loro stessi e la propria famiglia, ma si popolò pure di disperati pronti a
tutto, di sindacalisti arrabbiati, di avventurieri per cui ogni espediente era
buono per sopravvivere. Aumentò di conseguenza la criminalità e anche la
violenza. Si accentua ovviamente e a volte si radicalizza lo scontro sociale
facendo emergere non tanto un odio classista ma un odio razzista. Non a caso i
protagonisti sono, (secondo il rozzo linguaggio dell’autorità istituzionale):
una donna, cioè una puttana, uno “sporco negro” e un comunista.
L’anno in cui è stato girato il film è il 1972, rientra in quel periodo in cui un
critico e giornalista americano, A. Madsen, ipotizza la nascita di un nuovo
cinema americano; ipotesi poi ripresa in Italia da Franco La Polla (altro
critico cinematografico, profondo conoscitore del cinema americano). Il periodo
considerato comprende gli anni che vanno dal 1967 fino al 1975. E’ un momento
straordinariamente prolifico, s’accentuano ricerca e sperimentazione, cresce
d’importanza il cinema indipendente, sempre più presente anche nelle sale di
prima visione, di cui ricordo, che Corman è stato grande protagonista in tutti
i sensi, soprattutto come produttore, oltre che come regista. Si cerca un nuovo
linguaggio cinematografico non dimenticando però al contempo l’insegnamento dei
classici.
Quali sono le caratteristiche del nuovo cinema
americano ?
Prima
di tutto è un cinema di “movimento”;
si predilige l’azione, azione che insegue la realtà nel suo farsi, si gira in
campo aperto, nelle campagne, nei meandri della metropoli, è un vero e proprio
girovagare per cogliere le istanze della realtà. Il paesaggio, le strade
metropolitane, il territorio diventano il nuovo campo di “battaglia”, bisogna
uscire dagli studios per conoscere la realtà. Ma non sempre questa ricerca è
adeguata, tanto che parte di questo cinema
verrà considerato addirittura iperrealista. Infatti il sesso e la violenza
vengono esibiti spudoratamente, atto quasi provocatorio. Si potrebbe affermare
che viene teorizzata una vera e propria “poetica della violenza”, di fatto poi
trasformata in atto estetico. Da qui, nel futuro, tutto il cinema americano ne
sarà influenzato, fino al cinema di Tarantino (anche se in Tarantino l’ironia e
lo sberleffo irriderà ogni qualsivoglia estetizzazione). Una violenza
individualista, narcisista, spesso barocca che vuole con forza e rabbia
sganciarsi dalle istituzioni, dall’autorità politica, da un mondo culturale e
sociale ritenuto ormai corrotto, ipocrita e superato: ribelli senza causa
dunque, ancora ? Non proprio, perché, ora, ciò che conta è l’affermazione di sé
anche contro tutti, in qualsiasi modo, a qualsiasi costo.
Cinema quindi in cui il protagonista cerca una
nuova identità: esaltazione dell’individualismo.
D’altronde la stessa protagonista del film in questione Bertha Thompson, pur
essendo vittima del sistema, è una ribelle quasi per forza, di fronte
all’ingiustizia del capitale che uccide suo padre, ma nonostante l’amore e
l’amicizia per un sindacalista, non riesce a formarsi una vera e propria
coscienza del come si trovi in mezzo a un ingranaggio, che per lei risulterà
fino alla fine incomprensibile. Non raggiungerà la consapevolezza di capire
quali sono le cause del suo stato. Rimane e rimarrà una sradicata,
un’anarcoide, una criminale a suo modo innocente, che cerca comunque di
affermare la propria libertà anche con la violenza. Lotta contro e rifiuto
delle istituzioni anche perché spesso loro stesse violente fino al sadismo,
rifiuto ancora dell’ ipocrisia borghese. In generale, in questo periodo
nonostante le proteste di Berkeley, i movimenti, molti autori, anche quelli già
affermati come per esempio Altman o Arthur Penn, Peckinpah o Aldrich, non
criticano il sistema, se non in modo indiretto, ne colgono alcune
contraddizioni ma senza denunciarle: insomma non si afferma un vero e proprio
cinema politico: prevale ancora lo spirito libertario e individualistico: al
massimo si sceglie la fuga (vedi “Easy Rider”).
Lo stile:
si predilige un montaggio con un ritmo incalzante, spesso nevrotico, vorticoso,
soprattutto nelle sequenze drammatiche. Tuttavia il ritmo all’occorrenza sa
dilatarsi, distendersi spesso nei piani-sequenza. Viene ripresa la dissolvenza
incrociata, atto pensoso, e con essa angolazioni ardite, inquadrature sghembe,
passaggio di mascherine. Si usa molto spesso la camera a spalla (anche in
questo film) che ci restituisce l’idea di un certo dilettantismo specializzato.
A volte è uno stile mutuato dalla televisione
( non a caso in questo periodo c’è una grande concorrenza con la produzione
televisiva e molti autori tra cui lo stesso Altman ci hanno lavorato, vedi la
serie “Bonanza”) e infatti lo zoom viene spesso usato. Uno stile che regnerà
nel B-movie (vedi Corman) fino alla nascita di un genere soprannominato “exploitation”, dove diventa importante
anche la velocità delle riprese, per girare film a basso costo a volte
degenerante fino alla pseudopornografia (vedi Russ Meyer) e alla violenza più
splatter di un cinema che veniva proiettato nei drive-in o nelle grindhouse.
Insomma il film in questione rinvia e si
integra perfettamente all’interno di questo periodo del nuovo cinema americano,
da cui però Scorsese in seguito si
dimostrerà e, a partire dalla propria biografia, svilupperà un cinema personale
ed autoriale di grandissimo spessore e rilevanza.
Gruppo Cinema Arsenale Rosebud
Paul Zilio
Paul Zilio