giovedì 9 dicembre 2010

Gioved' 9 dicembre 2010 - Distretto 13 - Le brigate della morte

Distretto 13 - Le brigate della morte (Assault on Precint 13)

Regia: J. Carpenter

USA, 1976, durata: 90 minuti, colore.

E’uno dei titoli, se non il più emblematico, della rassegna.

Il punto di vista degli assediati ruota letteralmente intorno ad uno spazio vuoto e indecifrabile. Nello spazio si muovono a flussi gruppi sempre più numerosi di ombre simili agli zombie. Sembra non esserci una logica per questa contaminazione: una vera contaminazione di massa, anonima, che vuole uccidere, distruggere. Il cinema è assediato, proprio a partire dalla centralità del suo punto di vista, da un pubblico sempre più informe - si allude agli ectoplasmi del pubblico televisivo? - , da una violenza fine a se stessa determinata da un’alienazione che depriva i corpi di una soggettività sempre più anonima e contaminata. Lo spettatore si sente assediato da una “cosa” informe, ma ne è anche affascinato in quanto viene catturato in un vortice di violenza cieca e inarrestabile, quasi nichilista, innescata da una “massa” sibilante e “cattiva”. La distruzione è lo sfogo di un profondo senso di impotenza degenerante, che trasforma appunto i soggetti in una sorta di zombie senz’anima, senza speranza, senza vita.

Con questo scenario potremmo pertanto affermare che è il film più significativo della rassegna, proprio nella stretta relazione tra significato e significante, tra degrado simbolico e alienazione umana e degrado scenografico.

J. Carpenter, un cinefilo, viene ormai considerato un vero autore che riconosce in H. Hawks il suo maestro. Questo film, una sorta di rivisitazione del western, cita “Un dollaro d’onore”; infatti, per firmare il montaggio Carpenter usa lo pseudonimo di John T. Chance che era il nome del personaggio interpretato da John Wayne.

Autore dicevo, nonostante per un lungo periodo sia stato considerato un regista di “B-movies”, del cinema indipendente americano, anche se poi ha partecipato a delle grosse produzioni. Anarcoide molto vicino al cinema di Siegel e Corman: i suoi film, quasi tutti, sono stati prodotti a basso costo mantenendo un punto di vista autonomo ed evidenziando nel tempo come il suo cinema sia più politico di tanto cinema dichiarato tale. Certo gli scenari rappresentati sono post - apocalittici, spesso girati nella periferia di Los Angeles così da privilegiare il genere “horror”, anche se questa attenzione tende di più allo smontaggio del genere o dei generi affrontati.

“Horror come rivelazione. E così l’orrore diviene forma notturna di sopravvivenza dell’uomo-massa rispetto alle leggi diurne che lo hanno espropriato della sua soggettività e della sua fantasia gettandolo in ben più vasto soggetto e ben più profonda fantasia.” (da Segno Cinema n° 3, 1982, A. Abruzzese: “Segni certi di inquietudine”).

Nello spazio notturno, metropolitano, tutto sembra in superficie normale, tutto sembra scorrere, la stessa musica insinuante scorre e prepara uno sfondo in cui predomina un senso di vuoto, le persone assomigliano a degli esseri svuotati. La musica in quasi tutti i suoi film è stata scritta da lui stesso ed è una componente importante perché, ripeto, prepara uno sfondo predestinato e ineluttabile nella sua ripetitività. Lo stile stesso gioca nel buio, genera una scrittura apparentemente superficiale, secca, in cui il montaggio, come nel cinema classico, diventa quasi invisibile e fluttuante come i corpi che nel film spariscono, scompaiono letteralmente dalla vista.

Come nel film “1997: fuga da New York”, anche qui assistiamo quasi in tempo reale - inizia in piena notte e termina nella notte seguente - all’agguato teso da una banda di teppisti assassini.

Dalle radio della polizia veniamo informati dell’aumento vertiginoso della criminalità in alcuni quartieri di Los Angeles. Il commissariato di polizia, che deve essere trasferito, viene assediato da questi fanatici. Dentro ci sono un tenente di colore, due funzionarie, due malviventi in guardina di cui uno, Napoleone Wilson, condannato a morte e un pacifico signore al quale i teppisti hanno fatto fuori una figlia, una bambina e proprio per questo si trova in stato di shock tanto da non riuscire a spiaccicare alcuna parola. Ci troviamo quindi di fronte a un campionario umano di drop - out che devono lottare per la propria sopravvivenza fino alla fine non senza perdite umane. E nonostante l’arrivo della polizia che li salva rimane un senso di vuoto, nello sfondo surreale e quasi metafisico della musica.

Gruppo Cinema Arsenale Rosebud

A cura di Paul Zilio

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