lunedì 20 maggio 2013

giovedì 23 maggio - MARGIN CALL



MARGIN CALL

Regia: Jeffrey. C. Chandor
Usa, 2011, colore
Durata: 107’
Cast: Kevin Spacey, Paul Bettany, Stanley Tucci, Jeremy Irons, Demi Moore, Zachary Quinto, Simon Baker, Penn Badgley

Le 24 ore che sconvolsero e sconvolgono il mondo, vissute attraverso le vicende di un colosso finanziario americano. Alcuni esperti (analisti dei rischi vengono chiamati, non a caso) si accorgono dei pericoli legati all’immissione nel mercato dei cosiddetti “titoli tossici” ed avvertono i vertici dell’azienda. Durante una nottata di travagliata veglia, dovranno decidere se far fallire l’economia mondiale o se stessi. Sappiamo com’è andata.

Nessuna allusione, implicazione, allegoria in questo primo lungometraggio di J. C. Chandor. In Margin Call, prende forma una poderosa e puntigliosa ricostruzione dei meccanismi perversi che regolano il folle mercato dei titoli azionari e le dinamiche scellerate dell’alta finanza. Tutto torna, in quest’opera velenosa come i suoi personaggi (su tutti quello interpretato da Irons, John Tuld, il cui cognome riecheggia quello di Fuld, amministratore delegato di Lehman Brothers): innanzitutto, l’unità di tempo e luogo, che scandisce la brevità e la velocità con cui il sistema finanziario globale può crollare a causa della propria costitutiva inconsistenza; in secondo luogo, i meccanismi gerarchici che pongono ai vertici del potere economico mondiale degli strateghi del mercato, che non capiscono letteralmente nulla di tattica (cioè di numeri ed economia) e dei tattici (esperti informatici, matematici, analisti finanziari), che non hanno accesso alla visione panoramica e complessiva dei loro capi; ed infine, soprattutto, la distanza siderale che separa il mondo reale, concreto, fatto di uomini, popoli, nazioni, continenti in ginocchio e quello astratto, opaco, spietato del denaro virtuale. Il grattacielo dove è ambientata la vicenda è il teatro degli orrori, segreto ai più, nel quale si muovono freneticamente e vanamente, come topi da laboratorio, degli esseri bizzarri, alieni, che lucidamente delirano, discettano del nulla, del vuoto. Un vuoto che si riverbera all’esterno per diventare il tempo che ci attende. C’erano una volta l’uomo e il suo mondo…
Gian Giacomo Petrone
Gruppo Cinema Arsenale Rosebud

giovedì 16 maggio 2013

giovedì 16 maggio - INSIDE JOB

                                                                      




L’Associazione Culturale Porte Aperte e Arsenale Rosebud vi ricordano l'appuntamento settimanale con la rassegna 
LA crisi del sistema ed il sistema della crisi, presentato presso la sala "Pacifico Guidolin" (raggiungibile dal retro della biblioteca comunale di Castelfranco Veneto).

giovedì 16 maggio alle ore 20.45 vi presentiamo il documentario vincitore del PREMIO OSCAR 2011 per la sua sezione INSIDE JOB, "Il film che è costato 20 TRILLIONI DI DOLLARI!!!".

da rassegna stampa:

IL FESTIVAL DI CANNES PUBBLICO IN CODA PER «INSIDE JOB» IL DOCUMENTARIO FUORI CONCORSO CHE RACCONTA CON RIGORE IL DISASTRO MONDIALE DEGLI ULTIMI ANNI FACENDO PARLARE PROTAGONISTI E ACCUSATORI: UN' OPERAZIONE DI GRANDE CINEMA

L' «affare» dentro la Crisi: il film-pugno nello stomaco
Ferguson ricostruisce errori e conflitti d' interesse
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI CANNES - Per il direttore del festival Thierry Frémaux, che l' ha messo fuori gara, «è un film necessario e utile» ma qualcuno è arrivato a definirlo «il più terrificante horror dell' anno». Certo è che Inside Job di Charles Ferguson ieri ha fatto fare al pubblico una coda ben più lunga dei due film in concorso, l' africano Un Homme qui crie di Mahamat-Saleh Haroun e il francese La Princesse de Montpensier di Bertrand Tavernier. Nonostante sia «soltanto» un documentario. Ma che documentario! Con un rigore da far invidia a Cartesio, Ferguson ha ricostruito la ragnatela di responsabilità e di interessi che hanno portato alla più grave crisi economica dal 1929 e che ha rischiato di mettere sul lastrico l' economia di tutto il mondo. Si comincia con quella islandese che nel 2008 ha mandato in bancarotta un intero Stato (la febbre speculativa importata da Wall Street aveva spinto le banche locali a indebitarsi per un valore di dieci volte superiore al prodotto interno lordo) e si arriva fino alle recentissime audizioni dei manager Goldman Sachs davanti alla commissione del senato americano. In mezzo, per quasi due ore, la ricostruzione di come la finanza ha speculato e di fatto ingannato (di questo sono accusati i responsabili della Goldman Sachs) migliaia di risparmiatori in tutto il mondo. Ma a mettere davvero più paura di un film horror sono soprattutto le responsabilità e le complicità di chi, quelle speculazioni, avrebbe dovuto contrastarle e combatterle e invece le ha - a volte spudoratamente – favorite. (…)
Mereghetti Paolo
Pagina 042/043
(17 maggio 2010) - Corriere della Sera

lunedì 13 maggio 2013

Martedì 14 maggio - FEDERICO CALLEGARI

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Martedì 14 maggio


L'associazione Culturale Porte Aperte

in collaborazione con CNA Castelfranco Veneto

è lieta di invitarvi all'incontro con
 
FEDERICO CALLEGARI

Analista di economia del territorio, docente universitario, progettista interventi di sviluppo locale, formatore, responsabile dell'area studi e sviluppo economico della camera di commercio di Treviso ed esperto nei processi di innovazione nelle piccole e medie imprese

che vi presenterà
L'IMPATTO DELLA CRISI
NELL'ECONOMIA PROVINCIALE
E POSSIBILI NUOVI SCENARI

-

L'evento si svolgerà presso la sala Pacifico Guidolin -
Biblioteca Comunale di Castelfranco Veneto

Inizio presentazione ore 20.45


ENTRATA LIBERA E RESPONSABILE

per informazioni: 
Paul Zilio 338 6430893

martedì 7 maggio 2013

giovedì 9 maggio - COSMOPOLIS



COSMOPOLIS

Regia: David Cronenberg
Canada/Francia/Italia/Portogallo, 2012, colore
Cast: Robert Pattinson, Juliette Binoche, Sarah Gadon, Mathieu Amalric, Jay Baruchel, Kevin Durand, Paul Giamatti

Per andare dal suo barbiere di fiducia, il giovane miliardario Eric Packer è costretto ad attraversare, all’interno della sua limousine, una Manhattan in rivolta, mentre l’intera città di New York è paralizzata per l’arrivo del presidente statunitense e per il funerale di una star musicale afroamericana. Molti bizzarri incontri ed uno strano destino lo attendono.

Girato prevalentemente a Toronto, Cosmopolis non vuole essere una ricostruzione storica né tantomeno ambientale delle cause della crisi economica che, ancora oggi, attraversa l’intero pianeta. Tanto più che il romanzo di Don DeLillo, da cui il film è tratto, viene pubblicato nel 2003 e risulta ambientato nel 2000, quindi molto prima che la crisi stessa, almeno così come ci viene raccontata dai media, abbia inizio. Lo spazio metropolitano, lungi dal risultare mera ricostruzione documentaria della Grande Mela, diviene, nel film, spazio qualsiasi, privo di qualunque connotato o riferimento riconoscibile. La vicenda narrata assume, almeno in superficie, le strutture e le dinamiche di una folle allegoria del potere finanziario contemporaneo, al di là, lo si è detto, di qualsiasi individuazione spazio-temporale precisa. I diagrammi, gli schemi ed i numeri, che si affacciano dagli schermi dei computer installati nella limousine di Eric, sono però l’unico effettivo contatto con l’evanescente mondo della finanza, oltre a molti dei deliranti dialoghi che punteggiano l’opera. La limo appare come un’automobile-santuario che custodisce (e protegge, essendo blindata ed insonorizzata) i feticci ed i simulacri di un mondo astratto, freddo, opaco e distante – ancorché letale per l’uomo – insieme ad uno dei loro sacerdoti. È all’interno di essa che si svolge gran parte della vicenda narrata. La crisi c’è, ma non si vede e la sua essenza forse si colloca nella sua assenza. Al limite essa viene psicoticamente verbalizzata ed evocata dai personaggi che transitano attraverso l’immensa automobile di Eric: una cattedrale, un confessionale o, per certi versi, lo studio di uno psicanalista. È attraverso questa verbalizzazione dell’assente che prende forma l’effettiva distanza esistenziale, oltre che fattuale, fra l’uomo e l’astratto, ottuso universo finanziario. Più che un film sulla crisi economica, Cosmopolis è, in realtà, un’opera sulla crisi d’identità e sulle aberrazioni psichiche che caratterizzano gli uomini di potere della nostra epoca.
L’ossessione di controllo che pervade Eric ed i suoi collaboratori (esperti informatici e di matematica finanziaria, “filosofi monetari” oltre alle sue guardie del corpo) trova un ostacolo insormontabile nell’impenetrabilità ed imprevedibilità del reale e degli eventi che vi accadono. Se la realtà concreta è permeata da tale imponderabilità, altrettanto, se non di più, lo è la realtà virtuale dei numeri e degli astrusi calcoli probabilistici, statistici e delle ermetiche equazioni che regolano i flussi ed i mercati finanziari. Eric, i suoi sottoposti ed il suo impero vedono sgretolarsi le proprie fondamenta per non aver saputo prevedere l’andamento sul mercato dello yuan cinese. Ogni possibilità di calcolo e di conseguente controllo del mondo si è inceppata di fronte alle variabili impazzite di un universo solo apparentemente regolare ed ordinato come quello matematico. L’Io di Eric e degli altri personaggi che gli ruotano attorno, così come le loro identità, vengono perciò a frantumarsi ed a frammentarsi per non aver saputo reggere il peso dell’evanescenza dei loro saperi, delle loro concezioni del mondo e delle loro friabili certezze. Ecco perché l’intero film può essere letto come un’ipertrofica seduta psicanalitica dei personaggi presso il guru Eric, ma anche di quest’ultimo presso quell’attento ed a tratti beffardo osservatore entomologico che è il regista stesso: David Cronenberg.
Il viaggio attraverso la metropoli diviene quindi un percorso regressivo che tocca tutti i personaggi della corte del sovrano Eric, impegnati a riscoprire la loro fase orale (li vediamo sovente impegnati a suggere cannucce, sgranocchiare noccioline, trangugiare bevande) ed il linguaggio, che nel loro caso è, come nell’infanzia, carico di significati mitici e ludici. I monitor dei computer – con i loro arabeschi digitali – ed il loro mondo di riferimento, costruito su un incorporeo controllo a distanza che identifica denaro, potere, frenetica e meccanica ambizione altro non sono che uno smisurato campo da gioco, evocato attraverso un vero e proprio gergo semi-esoterico per iniziati, esattamente come accade in quelle gang giovanili, dove si gioca, appunto, a fare gli adulti.
Ancora più complesso risulta il percorso di (ri)scoperta e ridefinizione del sé da parte di Eric. Tale personaggio, definito somaticamente dai tratti anodini di Robert Pattinson, appare fin da subito come un essere alieno in un ambiente similmente alieno (grattacieli e palazzi anonimi accanto alle altrettanto anonime limousine in fila e tutte uguali) e disumanizzato, perciò perfettamente organico ad esso. L’ostinato viaggio verso il salone di barbiere della sua infanzia, dall’altra parte della città, non è altro che l’indizio più immediato, fra i molti che punteggiano il film, della vera e propria patologia che interessa il protagonista: il Disturbo Ossessivo-Compulsivo, che si esplica come la ripetizione rituale, maniacale e meccanica di azioni, che hanno lo scopo sia di esprimere il proprio controllo sul mondo, per ristabilirne un ordine che si paventa come perennemente compromesso, sia in definitiva di esorcizzare l’imprevedibilità e l’ostilità del reale. Cosmopolis, per molti versi, può essere a tal proposito definito come un torbido trip dal razionale all’irrazionale o dalla com-pulsione alla (riscoperta della) pulsione attraverso una serie di tappe, che gradualmente portano il protagonista a liberarsi delle proprie ossessioni per riabbracciare, almeno fin dove gli riesce, la dimensione originaria e libera del caos, l’urgenza di esperire la propria corporeità attraverso il piacere, il dolore e, magari, la morte. L’obiettivo ultimo, probabilmente inconsapevole, di Eric è quello di fronteggiare l’irrazionalità del reale attraverso una altrettanto prepotente riaffermazione folle del Sé, o meglio del proprio Es.
Due vie parallele possono essere determinate, nel corso del film, per individuare questo percorso di mutazione psicofisica. La prima può essere identificata come il passaggio dai segni dell’ordine ai segni del disordine. Tutta la vita di Eric è scandita, fino allo svolgersi degli eventi narrati nel film, dal controllo maniacale di ogni fase ed aspetto, sia pubblico che privato, della sua giornata. Il suo stile è impeccabilmente elegante ed asettico, così come il suo viso ed il suo  taglio di capelli e non a caso il racconto inizia in medias res, proprio mentre egli sta per recarsi dal suo barbiere. Quotidianamente, si sottopone ad un check-up completo per monitorare lo stato della sua salute. In ogni suo spostamento viene seguito da un complesso apparato di security, che egli, controllato da esso, a sua volta controlla (fino all’indistinguibilità del controllore e del controllato). Eric pare inoltre minacciato da un oscuro individuo, che vuole la sua morte: ecco anche perché le maglie delle difese approntate dalle guardie del corpo risultano estremamente spesse. La gran parte della sua frenetica esistenza è comunque soprattutto dedicata all’ispezione certosina dell’andamento del suo dominio finanziario tramite i computer. L’elemento che, probabilmente, innesca la mutazione di Eric è la caduta vertiginosa del suo impero, per non essere stato in grado, come accennato, di prevedere i flussi dello yuan. Ecco allora cominciare la proliferazione dei segni del disordine. Dapprima egli comincia a smarrire alcuni oggetti-chiave del suo look: occhiali da sole, giacca, cravatta; poi è la volta della sua limousine, che viene a più riprese lordata dai manifestanti che riempiono le strade; successivamente è il suo faccino indolente e viziato a subire l’oltraggio di una torta in faccia da parte di un manifestante particolarmente fantasioso; infine è egli stesso a contribuire al prevalere del caos, quando uccide il capo della sua sicurezza e poi quando, una volta dal barbiere, interrompe la seduta, uscendo col taglio incompleto. Da questo punto in poi, Eric manifesta apertamente quella che Freud indicherebbe come pulsione di morte. Tale atteggiamento da cupio dissolvi crea però un cortocircuito nella definizione del personaggio, che appare, paradossalmente e per la prima volta, libero e vivo, anche se pur sempre in una deriva mentale ormai irreversibile.
L’altra via per comprendere la mutazione psicofisica di Eric è, invece, di matrice più strettamente psicanalitica. La vita ossessivamente programmata ed ordinata del protagonista mostra dei segni di squilibrio là dove cominciano ad affacciarsi dei segni di regressione psichica e di predominio della pulsione. L’intrecciarsi ed il sovrapporsi confuso delle tre fasi formative originarie dell’Io nell’infanzia, orale, anale, fallica conducono Eric a liberarsi progressivamente dei suoi legami istituzionali da adulto, per condurlo verso un’orgia di sensazioni, progressivamente più estreme, che sembrano risvegliarlo dal suo meccanico torpore per condurlo però ad una dimensione di totale ed allucinato spaesamento. Anch’egli, come gli altri personaggi, trae diletto dall’oralità (sugge, beve, sgranocchia ed ha sempre fame) e soprattutto risulta erotizzato dal proprio logos, dal piacere di agitare la lingua per farne uscire suoni armoniosi, estremamente selezionati e dal significato suggestivo, appare inebriato dal gusto di parlare e di ascoltarsi, in una dimensione in cui la parola non ha ancora raggiunto la maturità del dia-logos, ma appare ancora fortemente ancorata alle sue possibilità evocative ed ipnotiche. L’esame prostatico, durante il suo check-up giornaliero, rivela invece, da parte di Eric, l’espressione di una libido legata anche all’analità, oltre a fargli scoprire l’asimmetricità della sua prostata (elemento decisivo che riassume in sé molti dei significati del film). Infine, gli svariati rapporti sessuali avuti, da parte del protagonista nel corso della giornata[1], con donne di varie forme ed età, evidenziano una fallocentricità, nella quale non c’è posto per un’autentica reciprocità fra persone vive, ma in cui, invece, Eric si percepisce come soggetto assoluto, esattamente come accade nella corrispondente fase psicosessuale freudiana.
L’ultimo tassello per completare il complesso quadro si situa nella ricerca, da parte del protagonista, dell’uomo che lo minaccia, che altri non è che un suo ex sottoposto, ormai licenziato ed ai margini della società, che si fa chiamare Benno Levin. Forse, inconsciamente, Eric è da quest’ultimo che, fin dall’inizio, sente l’urgenza di andare. Una volta abbandonato il salone del barbiere, egli vaga per il vecchio e solitario quartiere fino a quando non vengono esplosi dei colpi di pistola nella sua direzione: è Benno ed Eric intuisce che è giunto il momento di confrontarsi con lui. Sale fino al fatiscente appartamento di quest’ultimo per incontrarlo e, magari, per cominciare a capire. Ciò a cui si assiste nella sequenza finale, vale a dire il “duello” fra Eric e Benno, altro non è che una bizzarra rappresentazione della fase dello specchio freudiana[2]. Eric si trova di fronte ad un’immagine fortemente deformata di sé: Benno (uno straordinario Paul Giamatti), invecchiato, brutto, sporco, incattivito, ma soprattutto vivo. Anch’egli ha, come Eric, la prostata asimmetrica ed anch’egli, per molto tempo, ha creduto nei numeri, nella loro assolutezza e regolarità. Ora, però, ha smesso di credere e si è rassegnato all’asimmetria del reale, alla sua irregolarità, come un destino ineluttabile. Forse vorrebbe solo che qualcuno lo ascoltasse per capire. È come se Benno, novello ritratto di Dorian Gray, avesse per molto tempo accumulato tutto lo squallore, la turpitudine, la bruttezza e l’abbrutimento del suo capo per preservarlo e mantenerlo integro e perfetto, caricandosi anche del fardello della vita di Eric e del peso della sua coscienza. Ed è come se, fino ad allora, Eric non avesse realmente vissuto, delegando inconsciamente a Benno di subire gli oltraggi del tempo e di un’esistenza dissipata, frenetica e folle. Ora, forse, Eric si trova in quella stanza cadente per recuperare, tutto in una volta, il tempo perduto e la consapevolezza, ma, si sa, il tempo è una pistola puntata alla testa…
Gian Giacomo Petrone
Gruppo Cinema Arsenale Rosebud


[1] Il racconto rispetta l’unità spazio-temporale aristotelica della tragedia, pur avendo le caratteristiche di una narrazione (anti)epica, in cui il viaggio, anziché essere radicalmente formativo e portatore di conoscenza ed esperienza di sé, non è altro che l’espressione della dissoluzione del soggetto protagonista.
[2] Secondo Freud, il momento originario dell’infanzia in cui il piccolo d’uomo inizia ad assumere coscienza della propria  soggettività e della propria identità si situa, appunto, nella “fase dello specchio”, cioè quando il bambino si ritrova di fronte ad una superficie riflettente, insieme ad un adulto, e riconosce, nell’immagine riflessa, se stesso.

domenica 5 maggio 2013

martedì 7 maggio - Eugenio Benetazzo


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Martedì 7 maggio


L'associazione Culturale Porte Aperte

in collaborazione con Libreria Ubik

è lieta di invitarvi alla serata di incontro con
 
EUGENIO BENETAZZO

autore del libro
 
“Quanto sta accadendo non è altro che un ritorno alla normalità: l'Asia si appresta a riconquistare la posizione e il ruolo c
he la storia le ha sempre dato. Ci si rinnova tornando alle origini.”
“Ancora una volta ci rendiamo conto di essere abitanti di Neurolandia:
non è forse una follia consentire la lenta e inesorabile penetrazione di operatori istituzionali cinesi
nel mercato del debito Europeo?”

L'evento si svolgerà presso il centro “Bordignon”,quartiere Valsugana, Castelfranco Veneto

Inizio presentazione ore 20.45

lunedì 29 aprile 2013

giovedì 2 maggio - America 1929: sterminateli senza pietà



America 1929: sterminateli senza pietà”. (Boxcar Bertha)
Regia: M. Scorsese
USA, 1972, durata: 87 m., colore


Trama:
Boxcar Bertha (B.Hershey), una ragazza sconvolta dalla morte del padre in un incidente sul lavoro, si unisce a un sindacalista (David Carradine) e a un giocatore d’azzardo (Barry Primis) con i quali condivide una vita da vagabonda e da fuorilegge nelle campagne americane impoverite  dalla grande depressione del ’29. L’altra faccia, ribelle e non metropolitana, dell’America degli anni Trenta in un film duro e avvincente. Dal romanzo autobiografico di Bertha Thompson, “Boxcar Bertha”, è una delle prime regie di Scorsese, che già mostra tutte le sue qualità e che appare brevemente come cliente del bordello.” (dal Mereghetti).

Scorsese non ha bisogno di presentazioni: è un regista che ha fatto e continua a fare la storia del cinema. Già realizzatore di molti capolavori, è conosciuto in tutto il mondo.
“Boxcar Bertha” è il film che precede “Mean streets”. E’ il suo secondo lungometraggio. In quel periodo era in contatto con Roger Corman e la sua factory, addirittura avrebbe dovuto essere il sequel del film girato dallo stesso Corman: “Il clan dei Barker”(1970).
L’opera richiama sullo sfondo quella crisi che sconvolse gli equilibri  di allora: l’America, infatti, si popolò di vagabondi che cercavano un lavoro occasionale per sfamare loro stessi e la propria famiglia, ma si popolò pure di disperati pronti a tutto, di sindacalisti arrabbiati, di avventurieri per cui ogni espediente era buono per sopravvivere. Aumentò di conseguenza la criminalità e anche la violenza. Si accentua ovviamente e a volte si radicalizza lo scontro sociale facendo emergere non tanto un odio classista ma un odio razzista. Non a caso i protagonisti sono, (secondo il rozzo linguaggio dell’autorità istituzionale): una donna, cioè una puttana, uno “sporco negro” e un comunista.
L’anno in cui è stato girato il film  è il 1972, rientra in quel periodo in cui un critico e giornalista americano, A. Madsen, ipotizza la nascita di un nuovo cinema americano; ipotesi poi ripresa in Italia da Franco La Polla (altro critico cinematografico, profondo conoscitore del cinema americano). Il periodo considerato comprende gli anni che vanno dal 1967 fino al 1975. E’ un momento straordinariamente prolifico, s’accentuano ricerca e sperimentazione, cresce d’importanza il cinema indipendente, sempre più presente anche nelle sale di prima visione, di cui ricordo, che Corman è stato grande protagonista in tutti i sensi, soprattutto come produttore, oltre che come regista. Si cerca un nuovo linguaggio cinematografico non dimenticando però al contempo l’insegnamento dei classici.
Quali sono le caratteristiche del nuovo cinema americano ?
 Prima di tutto è un cinema di “movimento”; si predilige l’azione, azione che insegue la realtà nel suo farsi, si gira in campo aperto, nelle campagne, nei meandri della metropoli, è un vero e proprio girovagare per cogliere le istanze della realtà. Il paesaggio, le strade metropolitane, il territorio diventano il nuovo campo di “battaglia”, bisogna uscire dagli studios per conoscere la realtà. Ma non sempre questa ricerca è adeguata, tanto che parte di questo cinema  verrà considerato addirittura iperrealista. Infatti il sesso e la violenza vengono esibiti spudoratamente, atto quasi provocatorio. Si potrebbe affermare che viene teorizzata una vera e propria “poetica della violenza”, di fatto poi trasformata in atto estetico. Da qui, nel futuro, tutto il cinema americano ne sarà influenzato, fino al cinema di Tarantino (anche se in Tarantino l’ironia e lo sberleffo irriderà ogni qualsivoglia estetizzazione). Una violenza individualista, narcisista, spesso barocca che vuole con forza e rabbia sganciarsi dalle istituzioni, dall’autorità politica, da un mondo culturale e sociale ritenuto ormai corrotto, ipocrita e superato: ribelli senza causa dunque, ancora ? Non proprio, perché, ora, ciò che conta è l’affermazione di sé anche contro tutti, in qualsiasi modo, a qualsiasi costo.
Cinema quindi in cui il protagonista cerca una nuova identità: esaltazione dell’individualismo. D’altronde la stessa protagonista del film in questione Bertha Thompson, pur essendo vittima del sistema, è una ribelle quasi per forza, di fronte all’ingiustizia del capitale che uccide suo padre, ma nonostante l’amore e l’amicizia per un sindacalista, non riesce a formarsi una vera e propria coscienza del come si trovi in mezzo a un ingranaggio, che per lei risulterà fino alla fine incomprensibile. Non raggiungerà la consapevolezza di capire quali sono le cause del suo stato. Rimane e rimarrà una sradicata, un’anarcoide, una criminale a suo modo innocente, che cerca comunque di affermare la propria libertà anche con la violenza. Lotta contro e rifiuto delle istituzioni anche perché spesso loro stesse violente fino al sadismo, rifiuto ancora dell’ ipocrisia borghese. In generale, in questo periodo nonostante le proteste di Berkeley, i movimenti, molti autori, anche quelli già affermati come per esempio Altman o Arthur Penn, Peckinpah o Aldrich, non criticano il sistema, se non in modo indiretto, ne colgono alcune contraddizioni ma senza denunciarle: insomma non si afferma un vero e proprio cinema politico: prevale ancora lo spirito libertario e individualistico: al massimo si sceglie la fuga (vedi “Easy Rider”).
Lo stile: si predilige un montaggio con un ritmo incalzante, spesso nevrotico, vorticoso, soprattutto nelle sequenze drammatiche. Tuttavia il ritmo all’occorrenza sa dilatarsi, distendersi spesso nei piani-sequenza. Viene ripresa la dissolvenza incrociata, atto pensoso, e con essa angolazioni ardite, inquadrature sghembe, passaggio di mascherine. Si usa molto spesso la camera a spalla (anche in questo film) che ci restituisce l’idea di un certo dilettantismo specializzato. A volte è uno stile  mutuato dalla televisione ( non a caso in questo periodo c’è una grande concorrenza con la produzione televisiva e molti autori tra cui lo stesso Altman ci hanno lavorato, vedi la serie “Bonanza”) e infatti lo zoom viene spesso usato. Uno stile che regnerà nel B-movie (vedi Corman) fino alla nascita di un genere soprannominato “exploitation”, dove diventa importante anche la velocità delle riprese, per girare film a basso costo a volte degenerante fino alla pseudopornografia (vedi Russ Meyer) e alla violenza più splatter di un cinema che veniva proiettato nei drive-in o nelle grindhouse.
Insomma il film in questione rinvia e si integra perfettamente all’interno di questo periodo del nuovo cinema americano, da cui però  Scorsese in seguito si dimostrerà e, a partire dalla propria biografia, svilupperà un cinema personale ed autoriale di grandissimo spessore e rilevanza.


Gruppo Cinema Arsenale Rosebud
Paul Zilio

 

lunedì 22 aprile 2013

Incontro con ALESSANDRO MARZO MAGNO - martedì 23 aprile

Associazione culturale
PORTE APERTE


in collaborazione con
LIBRERIA UBIK

presenta

L'INVENZIONE DEI SOLDI
incontro con
ALESSANDRO MARZO
MAGNO


Martedì 23 aprile 2013 – ore 20.45

presso la sede di Porte Aperte -Via Matteotti 14/A
Castelfranco Veneto


"L'invenzione dei soldi" ci racconta in maniera approfondita e divertente, con tanti aneddoti e curiosità, la storia di un'Italia all'avanguardia nel momento in cui per la prima volta la moneta si trasforma in merce e il mercante può così diventare banchiere.

per informazioni: 
Paul Zilio 338 6430893
oppure guardale qui


martedì 16 aprile 2013

mercoledì 17 aprile - Paper Moon di PETER BODGANOVICH


PAPER MOON (LUNA DI CARTA) (Paper Moon)
regia PETER BODGANOVICH   con RYAN O'NEAL, TATUM O'NEAL, MADELEINE KAHN 
USA 1973 110 minuti b/n

Uscito nel  1973, Paper Moon doveva essere originariamente girato da John Huston ed interpretato da Paul Newman.  Venne poi proposto a Peter Bogdanovich che ad ogni costo volle Ryan e Tatum O' Neal come protagonisti, ed accettò di girarlo solo dopo molte revisioni della sceneggiatura, basata sul  romanzo “ Addie Pray “ di J. D. Brown.
Fotografato  in un meraviglioso bianco e nero da Lazlo Kovacs (fu Orson Welles che consigliò al regista di mettere un filtro rosso agli obiettivi per rendere più intensi i contrasti), già collaboratore di Bogdanovich in “Ma papà ti manda sola” e direttore della fotografia per   “Easy Rider” e “Cinque pezzi facili”,  il film è ambientato nell'America della Grande Depressione ed è  una  garbata commedia che presenta due "fuori posto",  una  ragazzina ed un (forse) padre  gaglioffo e non particolarmente furbo, in viaggio  attraverso l'America rurale tra vagabondi, truffatori e poliziotti corrotti, che cercano di sopravvivere con piccoli inganni.
Il film si concentra prima di tutto sul rapporto che si crea tra i due protagonisti, inizialmente compagni di viaggio controvoglia che nel corso del loro viaggio si legano sempre più  l'uno all'altro, ripercorrendo il modello di  un rapporto conflittuale simile a quello di molte coppie della screwball comedy americana. 
Ma avendo ora come controparte una ragazzina, il ritratto che Bogdanovich  restituisce è  delicato, movimentato da un vena  brillante,  ma al contempo commovente senza essere sdolcinato. Per la protagonista Addie questo è un viaggio di formazione, la scoperta dell'America e di un modo di essere americani,  una ricerca del proprio posto nel mondo, ma in questo quadro Bogdanovich  rimanda per contrasto al modello cinematografico di bambina che dominava nell'epoca in cui è ambientato film, rappresentato da Shirley Temple.
Il film è anche infatti un atto d'amore per il cinema classico da parte di uomo di cinema a tutto tondo, che è stato regista, sceneggiatore e teorico, ed è  proprio per questo ricco di rimandi ed atmosfere che vanno da John Ford a Howard Howks.  Si  connota  pero'  anche come una riflessione sulla cultura americana di quegli anni, rifacendosi sì a tratti  e stilemi del cinema degli anni '30, ma non in maniera nostalgica, bensì come una approfondita modalità di conoscenza di quel periodo, conoscenza, per cosi dire,  di secondo livello. 
Il film fu accolto con notevole successo, tanto che ne venne anche tratta una serie TV che pero' non rispecchio' le attese e venne ben presto sospesa.


Monica Dal Bò
Gruppo Cinema Arsenale Rosebud 

lunedì 15 aprile 2013

Incontro con Andrea Baranes giovedì 18 aprile

Giovedì 18 aprile alle ore 20.45 l’associazione culturale Porte Aperte vi ricorda l’appuntamento con Andrea Baranes presso la sede in via Matteotti 14/A (Castelfranco Veneto) per l’incontro CAPIRE E SUPERARE LA CRISI.

Nato a Roma nel 1972, laureato in Ingegneria chimica, dal novembre del 2011 Andrea Baranes è presidente della FondazioneCulturale Responsabilità Etica, della rete di Banca Etica. È portavoce della coalizione Sbilanciamoci! e della campagna 005 per l'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie. È membro del Comitato Etico di Etica Sgr. È stato responsabile delle campagne su istituzioni finanziarie private presso la CRBM (Campagna per la Riforma della Banca Mondiale). È autore di diversi libri sui temi della finanza e dell'economia, tra i quali  "Finanza per Indignati" (Ponte Alle Grazie), "Come depredare il Sud del mondo" e "Il grande gioco della fame"  (Altreconomia) e "Per qualche dollaro in più – come la finanza casinò si sta giocando il pianeta" (Datanews). Collabora con riviste specializzate nel settore economico e della sostenibilità, quali "Valori" e "Altreconomia" e con i siti Sbilanciamoci.info e Non Con I Miei Soldi.

martedì 9 aprile 2013

Dal Grappa al Piave - 12 e 13 aprile 2013


Città di Castelfranco Veneto  -  Assessorato alla Cultura                     

                                                                              

Associazione culturale - PORTE APERTE




Castelfranco Veneto


Dal Grappa al Piave.
Luoghi e memorie della Prima Guerra Mondiale: verso il centenario

PROGRAMMA DELLA MANIFESTAZIONE

Venerdì 12 aprile 2013 – ore 20.45–23.00

Teatro Accademico

Saluti
Dott. Giancarlo Saran, Assessore alla Cultura del Comune di Castelfranco Veneto


Memoria e rielaborazione letteraria
Michele Bordin
Introduzione

INTERVENTI
Michele Bordin
Dottore di ricerca in Italianistica (Università di Venezia); docente di materie letterarie (I.P.S.S.A.R. “G. Maffioli”, Castelfranco Veneto).
Sacrifici umani: la Prima guerra mondiale nella poesia di Andrea Zanzotto

Paolo Malaguti
Scrittore; docente di materie letterarie (Liceo Ginnasio Statale “G.B. Brocchi”, Bassano del Grappa).
È autore del romanzo Sul Grappa dopo la vittoria, Treviso, Santi Quaranta, 2009 (Premio “Latisana per il Nord-Est”, 2010) e di Sillabario veneto. Viaggio sentimentale tra le parole venete, Treviso, Santi Quaranta, 2011.

Andrea Molesini
Scrittore; docente di Letterature comparate (Università di Padova).
È autore del romanzo Non tutti i bastardi sono di Vienna, Palermo, Sellerio, 2010 (Premio SuperCampiello, Premio Comisso e Premio “Latisana per il Nord-Est”, 2011).

Letture in forma scenica di poesie di Andrea Zanzotto e brani delle opere di Malaguti e Molesini a cura del gruppo teatrale Lo Specchio e accompagnamento di improvvisazioni al pianoforte del M.° Jeremy Norris


Sabato 13 aprile 2013 – ore 9.30–13.00
Teatro Accademico


Storia, memorie, rappresentazioni e percezioni contemporanee
dei luoghi e degli spazi della Grande Guerra tra Grappa e Piave

Giacinto Cecchetto
Introduzione


INTERVENTI
Livio Vanzetto
Storico, già direttore ISTRESCO; dal 1996 al 2012 docente a contratto di “Storia del giornalismo e delle comunicazioni sociali” (Università di Trieste)

Cima Grappa, luogo di costruzione della memoria
(con proiezione del docufilm “Monte Grappa luogo della memoria” di Massimo Prevedello e Livio Vanzetto)

Francesco Vallerani
Professore ordinario di Geografia (Università Ca’ Foscari, Venezia)

Hanno combattuto per questo? La Grande Guerra e il Veneto: da paesaggio della memoria alla frammentazione postmoderna.





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