giovedì 15 dicembre 2011

15 dicembre 2011 - L'amico di famiglia


L’amico di famiglia.

Regia: Paolo Sorrentino

Italia, 2006, durata 90 minuti, colore

Per rappresentare l’avarizia, la scelta de “L’amico di famiglia” non è stata difficile, anche se, per altri versi, un film come “Greed” di Erich Von Stroheim meriterebbe la Palma D’Oro. Ma Paolo Sorrentino è un autore, un vero autore, peraltro italiano e, a mio avviso, di straordinario talento.

Egli ha ormai raggiunto una notorietà internazionale, dapprima con l’opera su Giulio Andreotti: “Il divo” premiato a Cannes nel 2008. Presidente della giuria un certo Sean Penn che in quell’occasione gli disse di essere pronto a fare un film con lui (“Quando vuoi, dove vuoi, io ci sarò”). Notorietà poi confermata con un originalissimo “road movie” girato negli USA proprio con Sean Penn: “This must be the place”, la sua opera più recente e in parte incompresa o considerata troppo ambiziosa.

Ma la stoffa c’è; l’autore è pervaso da una sottile e spesso allegorica immaginazione, attraverso la quale spiattella con estrema lucidità un mondo sempre più degradato, cinico e disilluso. Da questo punto di vista infatti la prima parte della sua filmografia risulta estremamente coerente: da “L’uomo in più” a “Le conseguenze dell’amore”, passando appunto attraverso “L’amico di famiglia” fino a “Il divo” possiamo trovare quella struttura circolare in cui emerge la centralità di un personaggio attorno a cui tutto precipita o cambia.

Nel film in oggetto, presentato a Cannes nel 2006, il protagonista impersonato da Giacomo Rizzo (interpretazione stratosferica la sua) incarna perfettamente la figura dell’usuraio. Una maschera laida, morbosa, solitaria, un “monstrum”, costretto a vivere con una madre disabile, che approfitta, attraverso l’uso dei soldi, delle debolezze e delle difficoltà altrui travestendosi da benefattore. Gode del suo potere, controlla, spia e registra un malessere diffuso, che egli stesso assorbe e attraverso il quale può giustificare la sua filosofia ove tutto, davvero tutto, può essere misurato con il denaro; denaro utile non per condurre una bella vita - l’aspetto estetico è del tutto inconcepibile nel suo mondo - ma solo per il gusto di poter decidere della vita degli altri. Perseguire e mantenere questo fine richiede sacrificio, non bisogna mai lasciarsi travolgere dai sentimenti, dalla pietà o, peggio, da un senso di carità; ci si deve trattenere dal consumo, dal desiderio, (pure illusioni ?) e perciò si conduce una vita assai meschina, nella quale ciò che rimane è la divorante volontà dell’accumulo che aumenta smisuratamente l’ avidità e dunque mai si placa. La politica del protagonista è fatta di piccoli passi e nessuna voglia di rischio, eppure quello che sembra essere il suo migliore amico lo provocherà, gli farà scattare una molla che lo porterà al disastro. Le conseguenze dell’amore, infatti, e dei sentimenti più in generale.

Il punto di vista del nostro autore perciò risulta alquanto disilluso e disincantato. Una fosca tinta pessimistica, di un triste nichilismo avvolge le sue storie e l’ambiente in cui si viene immessi e che ci circonda risulta, di scorcio o in totali, del tutto degradato, quasi unto, lercio. All’interno di questi scenari ci si presentano personaggi solitari, disperati, che sognano punti di fuga solo attraverso l’inganno o l’auto - inganno. La realtà è sudicia come il protagonista di questo film.

A cura di

Gruppo Cinema Arsenale Rosebud

Paul Zilio

Nessun commento: