giovedì 19 gennaio 2012

La Grande Abbuffata di Marco Ferreri

Forse il piu' famoso film sull'ossessione del cibo, girato in Francia nel 1973, con gli attori cult del momento, Mastroianni - il divo internazionale italiano, Piccoli - il divo internazionale francese, Noiret - il divo nazionale francese, Tognazzi - il divo nazionale italiano. Presentato a Cannes dove non fu apprezzato dalla critica, ebbe pero' un grande successo di pubblico, colpito dalla corrosività del film e probabilmente solleticato dalla pubblicità dell'epoca che faceva leva sugli aspetti piu' scabrosi.





Brevemente, la trama:
Ugo cuoco, Michel produttore televisivo, Marcello pilota, Philippe magistrato, sono amici e membri di un ristretto club di buongustai. Per un week-end gastronomico essi raggiungono la fatiscente villa di Philippe ove un tempo soggiornò Boileau. Mentre iniziano i lauti pasti, Marcello fa giungere tre prostitute che, tuttavia, se ne vanno non appena s'avvedono dell'indifferenza ed estrema banalità degli ospiti. Solo Andrea, una maestra che ha condotto gli alunni ad ammirare il "tiglio di Boileau" accetta l'invito di tornare alla villa per tutta la durata della tragedia. Di tragedia, infatti si tratta, poiché il continuo, abbondante e raffinato "abbuffarsi" risulta fatale per i quattro. Marcello rimane congelato nel giardino di notte, su una rabberciata Bugatti. Michel tira le cuoia nel corso degli sforzi per liberarsi di gas intestinali. Ugo rimane stecchito tra le contrazioni dell'impossibile digestione e da una masturbazione meccanica praticatagli da Andrea, Philippe muore nel giardino, mangiando ancora. Mentre i cani ululano, i commessi della "macelleria" portano nuove vivande.

Il film e’ molto legato all’epoca non solo per il suo aspetto visivo ma anche per il suo andamento a apologetico e a tesi. Ripropone molti dei temi che ricorrorono nell'opera di Ferreri, l'isolamento, la morte, l'erotismo, la degradazione.
E’ stato letto molto spesso come un’aspra critica alla classe borghese, anche se in realtà la lettura puo' riguardare l'uomo in senso piu' generale.
Ma la volontà dei protagonisti di fuggire dalla loro condizione alla fine li porterà a chiudersi in una gabbia senza possibilità di uscita, nuovamente prigionieri in una situazione di abulia/ bulimia che li condurrà alla autodistruzione.
Il film propone una riduzione dell'uomo alla soddisfazione della sua fisiologia basilare (“basta sentimenti, voglio fare un film fisiologico”, dice Ferreri). Sesso e cibo sono spesso uniti nella loro qualità di funzioni vitali ma qui si rovesciano nel loro contrario e divengono strumenti di morte. Non ci sono infatti bisogni reali da soddisfare, ma solo noia disperante e ossessioni per cui il mangiare o il far l'amore diventano praticamente degli automatismi, esplicando quasi un tentativo di esorcismo nei confronti della mancanza di senso della vita dei protagonisti. Essi ci vengono presentati in quattro succinti ritratti prima del racconto vero e proprio, in brevi situazioni quotidiane che mettono in luce il loro essere reclusi e soli nella loro vita borghese.
Ma il lasciarsi andare alla pura fisiologia non conduce i protagonisti al recupero di una armonia naturale primigenia (anche il giardino intorno alla villa è abbandonato ma non lussureggiante, trasmette un senso di sterilità e di morte), che non e' piu' attingibile, in quanto, nonostante tutto, la storia, la cultura, pur strenuamente criticate, restano inevitabili. Non c’è soluzione, non c’è utopia positiva possibile: l'approdo e' la morte.
Nella presentazione di questi corpi che si abbandonano alle loro funzioni essenziali non c'è sensualità, non c'e' allegria o liberazione, non c'è vero piacere in questo auto consegnarsi alla morte (vedi ad es. la gara per mangiare le ostriche, che non permette di gustarle). Non c'è una esaltazione “sana”, popolaresca, del corpo che potrebbe portare all'ingresso in una nuova vita dal significato dionisiaco, vitalistico. Si tratta piuttosto “di un saggio teorico sulla fine del corpo”: la fisiologia stessa si nega, esasperandosi fino al suo limite, giungendo ad un eccesso autopunitivo. E questa rappresentazione non viene sublimata o spiegata dalla parola, che si limita a dare comunicazioni di servizio. Ferreri pone pero', quasi all'inizio del film, una frase importante: “e' cosi bello che sembra falso”. Ferreri ha sempre amato rilevare la labilità del confine tra finzione e realtà ed anche in questo caso ci gioca: gli attori mangiavano davvero durante le riprese, i nomi dei protagonisti corrispondono a quelli reali, il cinese e' un vero cinese...quasi a confermarci che cio' che vediamo nel film non è solo finzione, ma ci riguarda direttamente. Forse anche per questo il film ha sempre colpito molto gli spettatori, sconcertati anche dall’accostamento di “serie” che culturalmente vengono tenute separate (ad es cibo ed escrementi) e dall’effetto straniante che produce il naturale nel suo eccesso, diventando innaturale, unheimlich. Elementi che, nonostante siano trascorsi ormai 40 anni dalla sua uscita, ci stimolano ancora alla riflessione.

Monica Dal Bò
Gruppo Cinema Arsenale Rosebud












Bibliografia essenziale
AAVV Marco Ferrerri ac cura di Stefania Parigi Saggi Marsilio
Alberto Scandola Marco Ferreri Il castoro cinema 2004
Maurizio Grande Ferreri Il castoro cinema 1974
PP Pasolini La grande abbuffata in Cinema Nuovo N 231, 1974
http://www.ugotognazzi.com official web site

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