venerdì 29 gennaio 2010

Giulietta e Romeo

Giulietta e Romeo
Regia: Renato Castellani
Italia/GB, 1954, durata 140’ min., colore
Interpreti: Laurence Harvey, Susan Shentall, Flora Robson, Norman Woodland, Lidia Sherwood, Ubaldo Zollo, Enzo Fieramonte, Mervyn Johns, Sebastian Cabot, Bill Travers.



Romeo Montecchi (Harvey) e Giulietta Capuleti (Shentall) si amano malgrado le loro due famiglie siano acerrime rivali e si sposano in segreto. Romeo, provocato, uccide in duello Tibaldo (Fieramonte) dei Capuleti ed è bandito da Verona. Giulietta, per evitare le nozze impostele dal padre, beve un potente narcotico e si finge morta. Nasce un equivoco fatale per i due sposi.
Castellani mette in scena la celeberrima tragedia di Shakespeare e, pur rimanendo fedele alla trama e al testo originali, la reinterpreta, nell’intento di calarla in una realtà autenticamente italiana. Recupera l’originaria novella del senese Masuccio Salernitano successivamente elaborata, nel Quattrocento, da Luigi da Porto con il titolo Storia di due nobili amanti, con la loro morte pietosa, che avvenne nella città di Verona al tempo del Signor Bartolomeo Scala, ridimensionando il ruolo che Mercuzio riveste nella versione shakespeariana. Estrema cura, quindi, nella scelta di costumi, luoghi, ambienti. La realizzazione del film è durata sei anni, tra sceneggiatura dello stesso Castellani, composizione della colonna sonora di Roman Vlad, creazione dei costumi di Eleonor Fini e riprese, sotto la magistrale direzione della fotografia di Robert Krasker. Le ambientazioni esterne, originali, sono cercate percorrendo l’Italia senza risparmio, assemblando Venezia, Verona, Sommacampagna, Montagnana in Veneto, ma anche Siena e S. Quirico d’Orcia in Toscana, mentre gli interni sono ricostruiti a partire da immagini pittoriche quanto mai varie sia per epoca che per area geografica di provenienza.
Lo sforzo produttivo è encomiabile e tuttavia questa trasposizione appare segnata da un calligrafismo sontuoso ma, tutto sommato, freddo. L’immaginario figurativo rinascimentale, ricchissimo di riferimenti pittorici, sembra piuttosto filtrato attraverso un occhio tardo-romantico, alla Hayez; le ambientazioni non partecipano all’azione dei personaggi, ma sono scelte per il loro carattere peculiarmente scenografico, come si trattasse di sfondi, quinte teatrali alle quali è chiesto solo di essere “adatte”, saltando da una all’altra con il rischio costante di scivolare proprio là dove il regista non vorrebbe, vale a dire in un pastiche di maniera; la tecnica di ripresa si basa su inquadrature molto classiche e movimenti di macchina che rasentano l’essenzialità; il montaggio, strettamente funzionale alla comprensione dell’azione, non azzarda alcuna stilistica autoriale.
Il film ha avuto un notevole successo, di pubblico come di critica: ha vinto il Leone d’oro a Venezia nell’anno di Senso, L’intendente Sunshō (Luna d’argento), La strada, Fronte del porto. Sopravvalutato all’uscita, sottovalutato in seguito, probabilmente va apprezzato come un ambizioso, sincero, nella cura della messa in scena, a suo modo grandioso esempio di teatro al cinema.



Gruppo Cinema Arsenale Rosebud
Renato Carlassara

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