sabato 1 giugno 2013
lunedì 20 maggio 2013
giovedì 23 maggio - MARGIN CALL
MARGIN CALL
Regia: Jeffrey. C. Chandor
Usa, 2011, colore
Durata: 107’
Cast: Kevin Spacey, Paul Bettany, Stanley Tucci, Jeremy Irons, Demi Moore,
Zachary Quinto, Simon Baker, Penn Badgley
Le 24 ore che
sconvolsero e sconvolgono il mondo, vissute attraverso le vicende di un colosso
finanziario americano. Alcuni esperti (analisti
dei rischi vengono chiamati, non a caso) si accorgono dei pericoli legati
all’immissione nel mercato dei cosiddetti “titoli tossici” ed avvertono i
vertici dell’azienda. Durante una nottata di travagliata veglia, dovranno
decidere se far fallire l’economia mondiale o se stessi. Sappiamo com’è andata.
Nessuna
allusione, implicazione, allegoria in questo primo lungometraggio di J. C.
Chandor. In Margin Call, prende forma
una poderosa e puntigliosa ricostruzione dei meccanismi perversi che regolano
il folle mercato dei titoli azionari e le dinamiche scellerate dell’alta
finanza. Tutto torna, in quest’opera velenosa come i suoi personaggi (su tutti
quello interpretato da Irons, John Tuld, il cui cognome riecheggia quello di
Fuld, amministratore delegato di Lehman Brothers): innanzitutto, l’unità di
tempo e luogo, che scandisce la brevità e la velocità con cui il sistema
finanziario globale può crollare a causa della propria costitutiva inconsistenza;
in secondo luogo, i meccanismi gerarchici che pongono ai vertici del potere
economico mondiale degli strateghi del mercato, che non capiscono letteralmente
nulla di tattica (cioè di numeri ed economia) e dei tattici (esperti
informatici, matematici, analisti finanziari), che non hanno accesso alla
visione panoramica e complessiva dei loro capi; ed infine, soprattutto, la
distanza siderale che separa il mondo reale, concreto, fatto di uomini, popoli,
nazioni, continenti in ginocchio e quello astratto, opaco, spietato del denaro
virtuale. Il grattacielo dove è ambientata la vicenda è il teatro degli orrori,
segreto ai più, nel quale si muovono freneticamente e vanamente, come topi da
laboratorio, degli esseri bizzarri, alieni, che lucidamente delirano, discettano del nulla, del vuoto. Un vuoto che
si riverbera all’esterno per diventare il tempo che ci attende. C’erano una
volta l’uomo e il suo mondo…
Gian Giacomo PetroneGruppo Cinema Arsenale Rosebud
giovedì 16 maggio 2013
giovedì 16 maggio - INSIDE JOB
L’Associazione Culturale Porte
Aperte e Arsenale Rosebud vi ricordano l'appuntamento settimanale con
la rassegna
LA crisi del sistema ed il
sistema della crisi,
presentato presso la sala "Pacifico
Guidolin" (raggiungibile dal retro della biblioteca comunale di Castelfranco
Veneto).
giovedì
16 maggio
alle ore 20.45
vi presentiamo il documentario vincitore del PREMIO OSCAR 2011 per la sua
sezione INSIDE
JOB,
"Il
film che è costato 20 TRILLIONI
DI DOLLARI!!!".
da
rassegna stampa:
IL
FESTIVAL DI CANNES PUBBLICO IN CODA PER «INSIDE JOB» IL DOCUMENTARIO FUORI
CONCORSO CHE RACCONTA CON RIGORE IL DISASTRO MONDIALE DEGLI ULTIMI ANNI FACENDO
PARLARE PROTAGONISTI E ACCUSATORI: UN' OPERAZIONE DI GRANDE CINEMA
L'
«affare» dentro la Crisi: il film-pugno nello stomaco
Ferguson
ricostruisce errori e conflitti d' interesse
DA UNO
DEI NOSTRI INVIATI CANNES - Per il direttore del festival Thierry Frémaux, che
l' ha messo fuori gara, «è un film necessario e utile» ma qualcuno è arrivato a
definirlo «il più terrificante horror dell' anno». Certo è che Inside Job di
Charles Ferguson ieri ha fatto fare al pubblico una coda ben più lunga dei due
film in concorso, l' africano Un Homme qui crie di Mahamat-Saleh Haroun e
il francese La Princesse de Montpensier di Bertrand Tavernier. Nonostante
sia «soltanto» un documentario. Ma che documentario! Con un rigore da far
invidia a Cartesio, Ferguson ha ricostruito la ragnatela di responsabilità e di
interessi che hanno portato alla più grave crisi economica dal 1929 e che ha
rischiato di mettere sul lastrico l' economia di tutto il mondo. Si comincia con
quella islandese che nel 2008 ha mandato in bancarotta un intero Stato (la
febbre speculativa importata da Wall Street aveva spinto le banche locali a
indebitarsi per un valore di dieci volte superiore al prodotto interno lordo) e
si arriva fino alle recentissime audizioni dei manager Goldman Sachs davanti
alla commissione del senato americano. In mezzo, per quasi due ore, la
ricostruzione di come la finanza ha speculato e di fatto ingannato (di questo
sono accusati i responsabili della Goldman Sachs) migliaia di risparmiatori in
tutto il mondo. Ma a mettere davvero più paura di un film horror sono
soprattutto le responsabilità e le complicità di chi, quelle speculazioni,
avrebbe dovuto contrastarle e combatterle e invece le ha - a volte
spudoratamente – favorite. (…)
Mereghetti
Paolo
Pagina
042/043
(17 maggio 2010) - Corriere della Sera
(17 maggio 2010) - Corriere della Sera
lunedì 13 maggio 2013
Martedì 14 maggio - FEDERICO CALLEGARI


Martedì 14 maggio
L'associazione Culturale Porte Aperte
in
collaborazione con CNA Castelfranco
Veneto
è lieta
di invitarvi all'incontro con
FEDERICO
CALLEGARI
Analista di economia del
territorio, docente universitario, progettista interventi di sviluppo locale,
formatore, responsabile dell'area studi e sviluppo economico della camera di
commercio di Treviso ed esperto nei processi di innovazione nelle piccole e
medie imprese
che vi presenterà
L'IMPATTO DELLA CRISI
NELL'ECONOMIA
PROVINCIALE
E POSSIBILI NUOVI
SCENARI
-
L'evento si svolgerà presso la sala Pacifico
Guidolin -
Biblioteca Comunale di Castelfranco
Veneto
Inizio presentazione ore
20.45
ENTRATA LIBERA
E RESPONSABILE
per informazioni:
Paul Zilio 338 6430893
martedì 7 maggio 2013
giovedì 9 maggio - COSMOPOLIS
COSMOPOLIS
Regia: David Cronenberg
Canada/Francia/Italia/Portogallo, 2012, colore
Cast: Robert Pattinson, Juliette Binoche, Sarah Gadon,
Mathieu Amalric, Jay Baruchel, Kevin Durand, Paul Giamatti
Per andare dal suo barbiere di fiducia, il giovane miliardario
Eric Packer è costretto ad attraversare, all’interno della sua limousine, una
Manhattan in rivolta, mentre l’intera città di New York è paralizzata per
l’arrivo del presidente statunitense e per il funerale di una star musicale
afroamericana. Molti bizzarri incontri ed uno strano destino lo attendono.
Girato prevalentemente a Toronto, Cosmopolis non vuole essere una
ricostruzione storica né tantomeno ambientale delle cause della crisi economica
che, ancora oggi, attraversa l’intero pianeta. Tanto più che il romanzo di Don
DeLillo, da cui il film è tratto, viene pubblicato nel 2003 e risulta
ambientato nel 2000, quindi molto prima che la crisi stessa, almeno così come
ci viene raccontata dai media, abbia inizio. Lo spazio metropolitano, lungi dal
risultare mera ricostruzione documentaria della Grande Mela, diviene, nel film,
spazio qualsiasi, privo di qualunque
connotato o riferimento riconoscibile. La vicenda narrata assume, almeno in
superficie, le strutture e le dinamiche di una folle allegoria del potere
finanziario contemporaneo, al di là, lo si è detto, di qualsiasi individuazione
spazio-temporale precisa. I diagrammi, gli schemi ed i numeri, che si
affacciano dagli schermi dei computer installati nella limousine di Eric, sono
però l’unico effettivo contatto con l’evanescente mondo della finanza, oltre a
molti dei deliranti dialoghi che punteggiano l’opera. La limo appare come un’automobile-santuario
che custodisce (e protegge, essendo blindata ed insonorizzata) i feticci ed i
simulacri di un mondo astratto, freddo, opaco e distante – ancorché letale per
l’uomo – insieme ad uno dei loro sacerdoti. È all’interno di essa che si svolge
gran parte della vicenda narrata. La crisi c’è, ma non si vede e la sua essenza
forse si colloca nella sua assenza.
Al limite essa viene psicoticamente verbalizzata ed evocata dai personaggi che
transitano attraverso l’immensa automobile di Eric: una cattedrale, un
confessionale o, per certi versi, lo studio di uno psicanalista. È attraverso
questa verbalizzazione dell’assente che prende forma l’effettiva distanza esistenziale, oltre che fattuale, fra
l’uomo e l’astratto, ottuso universo finanziario. Più che un film sulla crisi
economica, Cosmopolis è, in realtà,
un’opera sulla crisi d’identità e sulle aberrazioni psichiche che
caratterizzano gli uomini di potere della nostra epoca.
L’ossessione di controllo che pervade Eric
ed i suoi collaboratori (esperti informatici e di matematica finanziaria,
“filosofi monetari” oltre alle sue guardie del corpo) trova un ostacolo insormontabile
nell’impenetrabilità ed imprevedibilità del reale e degli eventi che vi
accadono. Se la realtà concreta è permeata da tale imponderabilità,
altrettanto, se non di più, lo è la realtà virtuale dei numeri e degli astrusi
calcoli probabilistici, statistici e delle ermetiche equazioni che regolano i flussi ed i mercati
finanziari. Eric, i suoi sottoposti ed il suo impero vedono sgretolarsi le
proprie fondamenta per non aver saputo prevedere l’andamento sul mercato dello
yuan cinese. Ogni possibilità di calcolo e di conseguente controllo del mondo
si è inceppata di fronte alle variabili impazzite di un universo solo
apparentemente regolare ed ordinato come quello matematico. L’Io di Eric e
degli altri personaggi che gli ruotano attorno, così come le loro identità, vengono
perciò a frantumarsi ed a frammentarsi per non aver saputo reggere il peso
dell’evanescenza dei loro saperi, delle loro concezioni del mondo e delle loro
friabili certezze. Ecco perché l’intero film può essere letto come
un’ipertrofica seduta psicanalitica dei personaggi presso il guru Eric, ma
anche di quest’ultimo presso quell’attento ed a tratti beffardo osservatore
entomologico che è il regista stesso: David Cronenberg.
Il viaggio attraverso la metropoli diviene
quindi un percorso regressivo che tocca tutti i personaggi della corte del sovrano Eric, impegnati a
riscoprire la loro fase orale (li vediamo sovente impegnati a suggere cannucce,
sgranocchiare noccioline, trangugiare bevande) ed il linguaggio, che nel loro
caso è, come nell’infanzia, carico di significati mitici e ludici. I monitor
dei computer – con i loro arabeschi digitali – ed il loro mondo di riferimento,
costruito su un incorporeo controllo a distanza che identifica denaro, potere,
frenetica e meccanica ambizione altro non sono che uno smisurato campo da
gioco, evocato attraverso un vero e proprio gergo semi-esoterico per iniziati,
esattamente come accade in quelle gang giovanili, dove si gioca, appunto, a
fare gli adulti.
Ancora più complesso risulta il percorso di
(ri)scoperta e ridefinizione del sé da parte di Eric. Tale personaggio,
definito somaticamente dai tratti anodini di Robert Pattinson, appare fin da
subito come un essere alieno in un ambiente similmente alieno (grattacieli e
palazzi anonimi accanto alle altrettanto anonime limousine in fila e tutte
uguali) e disumanizzato, perciò perfettamente organico ad esso. L’ostinato
viaggio verso il salone di barbiere della sua infanzia, dall’altra parte della
città, non è altro che l’indizio più immediato, fra i molti che punteggiano il
film, della vera e propria patologia che interessa il protagonista: il Disturbo
Ossessivo-Compulsivo, che si esplica come la ripetizione rituale, maniacale e
meccanica di azioni, che hanno lo scopo sia di esprimere il proprio controllo sul
mondo, per ristabilirne un ordine che si paventa come perennemente compromesso,
sia in definitiva di esorcizzare l’imprevedibilità e l’ostilità del reale. Cosmopolis, per molti versi, può essere
a tal proposito definito come un torbido trip
dal razionale all’irrazionale o dalla com-pulsione alla (riscoperta della)
pulsione attraverso una serie di tappe, che gradualmente portano il
protagonista a liberarsi delle proprie ossessioni per riabbracciare, almeno fin
dove gli riesce, la dimensione originaria e libera del caos, l’urgenza di
esperire la propria corporeità attraverso il piacere, il dolore e, magari, la
morte. L’obiettivo ultimo, probabilmente inconsapevole, di Eric è quello di
fronteggiare l’irrazionalità del reale attraverso una altrettanto prepotente
riaffermazione folle del Sé, o meglio del proprio Es.
Due vie parallele possono essere
determinate, nel corso del film, per individuare questo percorso di mutazione
psicofisica. La prima può essere identificata come il passaggio dai segni dell’ordine ai segni del
disordine. Tutta la vita di Eric è scandita, fino allo svolgersi degli
eventi narrati nel film, dal controllo maniacale di ogni fase ed aspetto, sia
pubblico che privato, della sua giornata. Il suo stile è impeccabilmente
elegante ed asettico, così come il suo viso ed il suo taglio di capelli e non a caso il racconto
inizia in medias res, proprio mentre
egli sta per recarsi dal suo barbiere. Quotidianamente, si sottopone ad un
check-up completo per monitorare lo stato della sua salute. In ogni suo
spostamento viene seguito da un complesso apparato di security, che egli,
controllato da esso, a sua volta controlla (fino all’indistinguibilità del
controllore e del controllato). Eric pare inoltre minacciato da un oscuro
individuo, che vuole la sua morte: ecco anche perché le maglie delle difese
approntate dalle guardie del corpo risultano estremamente spesse. La gran parte
della sua frenetica esistenza è comunque soprattutto dedicata all’ispezione
certosina dell’andamento del suo dominio finanziario tramite i computer.
L’elemento che, probabilmente, innesca la mutazione di Eric è la caduta
vertiginosa del suo impero, per non essere stato in grado, come accennato, di
prevedere i flussi dello yuan. Ecco allora cominciare la proliferazione dei segni del disordine. Dapprima egli
comincia a smarrire alcuni oggetti-chiave del suo look: occhiali da sole,
giacca, cravatta; poi è la volta della sua limousine, che viene a più riprese
lordata dai manifestanti che riempiono le strade; successivamente è il suo
faccino indolente e viziato a subire l’oltraggio di una torta in faccia da
parte di un manifestante particolarmente fantasioso; infine è egli stesso a
contribuire al prevalere del caos, quando uccide il capo della sua sicurezza e
poi quando, una volta dal barbiere, interrompe la seduta, uscendo col taglio
incompleto. Da questo punto in poi, Eric manifesta apertamente quella che Freud
indicherebbe come pulsione di morte.
Tale atteggiamento da cupio dissolvi
crea però un cortocircuito nella definizione del personaggio, che appare,
paradossalmente e per la prima volta, libero e vivo, anche se pur sempre in una deriva mentale ormai irreversibile.
L’altra via per comprendere la mutazione
psicofisica di Eric è, invece, di matrice più strettamente psicanalitica. La
vita ossessivamente programmata ed ordinata del protagonista mostra dei segni
di squilibrio là dove cominciano ad affacciarsi dei segni di regressione
psichica e di predominio della pulsione. L’intrecciarsi ed il sovrapporsi
confuso delle tre fasi formative originarie dell’Io nell’infanzia, orale,
anale, fallica conducono Eric a liberarsi progressivamente dei suoi legami
istituzionali da adulto, per condurlo
verso un’orgia di sensazioni, progressivamente più estreme, che sembrano
risvegliarlo dal suo meccanico torpore per condurlo però ad una dimensione di
totale ed allucinato spaesamento. Anch’egli, come gli altri personaggi, trae
diletto dall’oralità (sugge, beve, sgranocchia ed ha sempre fame) e soprattutto
risulta erotizzato dal proprio logos,
dal piacere di agitare la lingua per farne uscire suoni armoniosi, estremamente
selezionati e dal significato suggestivo, appare inebriato dal gusto di parlare
e di ascoltarsi, in una dimensione in cui la parola non ha ancora raggiunto la
maturità del dia-logos, ma appare
ancora fortemente ancorata alle sue possibilità evocative ed ipnotiche. L’esame
prostatico, durante il suo check-up giornaliero, rivela invece, da parte di
Eric, l’espressione di una libido legata
anche all’analità, oltre a fargli scoprire l’asimmetricità della sua prostata
(elemento decisivo che riassume in sé molti dei significati del film). Infine, gli
svariati rapporti sessuali avuti, da parte del protagonista nel corso della
giornata[1],
con donne di varie forme ed età, evidenziano una fallocentricità, nella quale non
c’è posto per un’autentica reciprocità fra persone vive, ma in cui, invece,
Eric si percepisce come soggetto assoluto, esattamente come accade nella
corrispondente fase psicosessuale freudiana.
L’ultimo tassello per completare il
complesso quadro si situa nella ricerca, da parte del protagonista, dell’uomo
che lo minaccia, che altri non è che un suo ex sottoposto, ormai licenziato ed
ai margini della società, che si fa chiamare Benno Levin. Forse,
inconsciamente, Eric è da quest’ultimo che, fin dall’inizio, sente l’urgenza di
andare. Una volta abbandonato il salone del barbiere, egli vaga per il vecchio
e solitario quartiere fino a quando non vengono esplosi dei colpi di pistola
nella sua direzione: è Benno ed Eric intuisce che è giunto il momento di
confrontarsi con lui. Sale fino al fatiscente appartamento di quest’ultimo per
incontrarlo e, magari, per cominciare a capire. Ciò a cui si assiste nella
sequenza finale, vale a dire il “duello” fra Eric e Benno, altro non è che una
bizzarra rappresentazione della fase
dello specchio freudiana[2].
Eric si trova di fronte ad un’immagine fortemente deformata di sé: Benno (uno
straordinario Paul Giamatti), invecchiato, brutto, sporco, incattivito, ma
soprattutto vivo. Anch’egli ha, come
Eric, la prostata asimmetrica ed anch’egli, per molto tempo, ha creduto nei
numeri, nella loro assolutezza e regolarità. Ora, però, ha smesso di credere e
si è rassegnato all’asimmetria del
reale, alla sua irregolarità, come un destino ineluttabile. Forse vorrebbe solo
che qualcuno lo ascoltasse per capire. È come se Benno, novello ritratto di
Dorian Gray, avesse per molto tempo accumulato tutto lo squallore, la
turpitudine, la bruttezza e l’abbrutimento del suo capo per preservarlo e
mantenerlo integro e perfetto, caricandosi anche del fardello della vita di
Eric e del peso della sua coscienza. Ed è come se, fino ad allora, Eric non
avesse realmente vissuto, delegando inconsciamente a Benno di subire gli
oltraggi del tempo e di un’esistenza dissipata, frenetica e folle. Ora, forse,
Eric si trova in quella stanza cadente per recuperare, tutto in una volta, il
tempo perduto e la consapevolezza, ma, si sa, il tempo è una pistola puntata
alla testa…
Gian Giacomo Petrone
Gruppo Cinema Arsenale Rosebud
[1] Il racconto rispetta l’unità
spazio-temporale aristotelica della tragedia, pur avendo le caratteristiche di
una narrazione (anti)epica, in cui il viaggio, anziché essere radicalmente
formativo e portatore di conoscenza ed esperienza di sé, non è altro che
l’espressione della dissoluzione del soggetto protagonista.
[2] Secondo Freud, il momento
originario dell’infanzia in cui il piccolo d’uomo inizia ad assumere coscienza
della propria soggettività e della
propria identità si situa, appunto, nella “fase dello specchio”, cioè quando il
bambino si ritrova di fronte ad una superficie riflettente, insieme ad un
adulto, e riconosce, nell’immagine
riflessa, se stesso.
domenica 5 maggio 2013
martedì 7 maggio - Eugenio Benetazzo


Martedì 7 maggio
L'associazione Culturale Porte Aperte
in
collaborazione con Libreria Ubik
è
lieta di invitarvi alla serata di incontro con
EUGENIO
BENETAZZO
autore del
libro

“Quanto sta accadendo non è altro
che un ritorno alla normalità: l'Asia si appresta a riconquistare la posizione e
il ruolo c
he la storia le ha sempre dato. Ci si rinnova tornando alle origini.”
“Ancora una volta ci rendiamo
conto di essere abitanti di Neurolandia:
non è forse una follia consentire
la lenta e inesorabile penetrazione di operatori istituzionali cinesi
nel mercato del debito
Europeo?”
L'evento si svolgerà presso il
centro “Bordignon”,quartiere Valsugana, Castelfranco
Veneto
Inizio presentazione ore
20.45
lunedì 29 aprile 2013
giovedì 2 maggio - America 1929: sterminateli senza pietà
America 1929: sterminateli senza pietà”. (Boxcar Bertha)
Regia: M. Scorsese
USA, 1972, durata: 87 m., colore
Trama:
“Boxcar Bertha (B.Hershey), una ragazza
sconvolta dalla morte del padre in un incidente sul lavoro, si unisce a un
sindacalista (David Carradine) e a un giocatore d’azzardo (Barry Primis) con i
quali condivide una vita da vagabonda e da fuorilegge nelle campagne americane
impoverite dalla grande depressione del
’29. L’altra faccia, ribelle e non metropolitana, dell’America degli anni
Trenta in un film duro e avvincente. Dal romanzo autobiografico di Bertha
Thompson, “Boxcar Bertha”, è una delle prime regie di Scorsese, che già mostra
tutte le sue qualità e che appare brevemente come cliente del bordello.” (dal
Mereghetti).
Scorsese non ha bisogno di presentazioni: è un
regista che ha fatto e continua a fare la storia del cinema. Già realizzatore
di molti capolavori, è conosciuto in tutto il mondo.
“Boxcar Bertha” è il film che precede “Mean
streets”. E’ il suo secondo lungometraggio. In quel periodo era in contatto con
Roger Corman e la sua factory, addirittura avrebbe dovuto essere il sequel del
film girato dallo stesso Corman: “Il clan dei Barker”(1970).
L’opera richiama sullo sfondo quella crisi che
sconvolse gli equilibri di allora: l’America,
infatti, si popolò di vagabondi che cercavano un lavoro occasionale per sfamare
loro stessi e la propria famiglia, ma si popolò pure di disperati pronti a
tutto, di sindacalisti arrabbiati, di avventurieri per cui ogni espediente era
buono per sopravvivere. Aumentò di conseguenza la criminalità e anche la
violenza. Si accentua ovviamente e a volte si radicalizza lo scontro sociale
facendo emergere non tanto un odio classista ma un odio razzista. Non a caso i
protagonisti sono, (secondo il rozzo linguaggio dell’autorità istituzionale):
una donna, cioè una puttana, uno “sporco negro” e un comunista.
L’anno in cui è stato girato il film è il 1972, rientra in quel periodo in cui un
critico e giornalista americano, A. Madsen, ipotizza la nascita di un nuovo
cinema americano; ipotesi poi ripresa in Italia da Franco La Polla (altro
critico cinematografico, profondo conoscitore del cinema americano). Il periodo
considerato comprende gli anni che vanno dal 1967 fino al 1975. E’ un momento
straordinariamente prolifico, s’accentuano ricerca e sperimentazione, cresce
d’importanza il cinema indipendente, sempre più presente anche nelle sale di
prima visione, di cui ricordo, che Corman è stato grande protagonista in tutti
i sensi, soprattutto come produttore, oltre che come regista. Si cerca un nuovo
linguaggio cinematografico non dimenticando però al contempo l’insegnamento dei
classici.
Quali sono le caratteristiche del nuovo cinema
americano ?
Prima
di tutto è un cinema di “movimento”;
si predilige l’azione, azione che insegue la realtà nel suo farsi, si gira in
campo aperto, nelle campagne, nei meandri della metropoli, è un vero e proprio
girovagare per cogliere le istanze della realtà. Il paesaggio, le strade
metropolitane, il territorio diventano il nuovo campo di “battaglia”, bisogna
uscire dagli studios per conoscere la realtà. Ma non sempre questa ricerca è
adeguata, tanto che parte di questo cinema
verrà considerato addirittura iperrealista. Infatti il sesso e la violenza
vengono esibiti spudoratamente, atto quasi provocatorio. Si potrebbe affermare
che viene teorizzata una vera e propria “poetica della violenza”, di fatto poi
trasformata in atto estetico. Da qui, nel futuro, tutto il cinema americano ne
sarà influenzato, fino al cinema di Tarantino (anche se in Tarantino l’ironia e
lo sberleffo irriderà ogni qualsivoglia estetizzazione). Una violenza
individualista, narcisista, spesso barocca che vuole con forza e rabbia
sganciarsi dalle istituzioni, dall’autorità politica, da un mondo culturale e
sociale ritenuto ormai corrotto, ipocrita e superato: ribelli senza causa
dunque, ancora ? Non proprio, perché, ora, ciò che conta è l’affermazione di sé
anche contro tutti, in qualsiasi modo, a qualsiasi costo.
Cinema quindi in cui il protagonista cerca una
nuova identità: esaltazione dell’individualismo.
D’altronde la stessa protagonista del film in questione Bertha Thompson, pur
essendo vittima del sistema, è una ribelle quasi per forza, di fronte
all’ingiustizia del capitale che uccide suo padre, ma nonostante l’amore e
l’amicizia per un sindacalista, non riesce a formarsi una vera e propria
coscienza del come si trovi in mezzo a un ingranaggio, che per lei risulterà
fino alla fine incomprensibile. Non raggiungerà la consapevolezza di capire
quali sono le cause del suo stato. Rimane e rimarrà una sradicata,
un’anarcoide, una criminale a suo modo innocente, che cerca comunque di
affermare la propria libertà anche con la violenza. Lotta contro e rifiuto
delle istituzioni anche perché spesso loro stesse violente fino al sadismo,
rifiuto ancora dell’ ipocrisia borghese. In generale, in questo periodo
nonostante le proteste di Berkeley, i movimenti, molti autori, anche quelli già
affermati come per esempio Altman o Arthur Penn, Peckinpah o Aldrich, non
criticano il sistema, se non in modo indiretto, ne colgono alcune
contraddizioni ma senza denunciarle: insomma non si afferma un vero e proprio
cinema politico: prevale ancora lo spirito libertario e individualistico: al
massimo si sceglie la fuga (vedi “Easy Rider”).
Lo stile:
si predilige un montaggio con un ritmo incalzante, spesso nevrotico, vorticoso,
soprattutto nelle sequenze drammatiche. Tuttavia il ritmo all’occorrenza sa
dilatarsi, distendersi spesso nei piani-sequenza. Viene ripresa la dissolvenza
incrociata, atto pensoso, e con essa angolazioni ardite, inquadrature sghembe,
passaggio di mascherine. Si usa molto spesso la camera a spalla (anche in
questo film) che ci restituisce l’idea di un certo dilettantismo specializzato.
A volte è uno stile mutuato dalla televisione
( non a caso in questo periodo c’è una grande concorrenza con la produzione
televisiva e molti autori tra cui lo stesso Altman ci hanno lavorato, vedi la
serie “Bonanza”) e infatti lo zoom viene spesso usato. Uno stile che regnerà
nel B-movie (vedi Corman) fino alla nascita di un genere soprannominato “exploitation”, dove diventa importante
anche la velocità delle riprese, per girare film a basso costo a volte
degenerante fino alla pseudopornografia (vedi Russ Meyer) e alla violenza più
splatter di un cinema che veniva proiettato nei drive-in o nelle grindhouse.
Insomma il film in questione rinvia e si
integra perfettamente all’interno di questo periodo del nuovo cinema americano,
da cui però Scorsese in seguito si
dimostrerà e, a partire dalla propria biografia, svilupperà un cinema personale
ed autoriale di grandissimo spessore e rilevanza.
Gruppo Cinema Arsenale Rosebud
Paul Zilio
Paul Zilio
lunedì 22 aprile 2013
Incontro con ALESSANDRO MARZO MAGNO - martedì 23 aprile
Associazione
culturale
PORTE
APERTE
in
collaborazione con
LIBRERIA
UBIK
presenta
L'INVENZIONE DEI
SOLDI
incontro con
ALESSANDRO MARZO
MAGNO
Martedì
23
aprile 2013 –
ore 20.45
presso la sede
di Porte Aperte -Via Matteotti 14/A
Castelfranco
Veneto
"L'invenzione dei soldi" ci
racconta in maniera approfondita e divertente, con tanti aneddoti e curiosità,
la storia di un'Italia all'avanguardia nel momento in cui per la prima volta la
moneta si trasforma in merce e il mercante può così diventare
banchiere.
per informazioni:
Paul Zilio 338 6430893
oppure guardale qui
martedì 16 aprile 2013
mercoledì 17 aprile - Paper Moon di PETER BODGANOVICH
PAPER MOON (LUNA DI CARTA) (Paper Moon)
regia PETER BODGANOVICH con RYAN O'NEAL, TATUM O'NEAL, MADELEINE KAHN
USA 1973 110 minuti b/n
regia PETER BODGANOVICH con RYAN O'NEAL, TATUM O'NEAL, MADELEINE KAHN
USA 1973 110 minuti b/n
Uscito nel 1973, Paper Moon doveva essere
originariamente girato da John Huston ed interpretato da Paul Newman. Venne poi proposto a Peter Bogdanovich che ad
ogni costo volle Ryan e Tatum O' Neal come protagonisti, ed accettò di girarlo
solo dopo molte revisioni della sceneggiatura, basata sul romanzo “ Addie Pray “ di J. D. Brown.
Fotografato in un meraviglioso bianco e nero da Lazlo
Kovacs (fu Orson Welles che consigliò al regista di mettere un filtro rosso
agli obiettivi per rendere più intensi i contrasti), già collaboratore di
Bogdanovich in “Ma papà ti manda sola” e direttore della fotografia per “Easy Rider” e “Cinque pezzi facili”, il film è ambientato nell'America della Grande
Depressione ed è una garbata commedia che presenta due "fuori
posto", una ragazzina ed un (forse) padre gaglioffo e non particolarmente furbo, in
viaggio attraverso l'America rurale tra
vagabondi, truffatori e poliziotti corrotti, che cercano di sopravvivere con
piccoli inganni.
Il film si concentra prima
di tutto sul rapporto che si crea tra i due protagonisti, inizialmente compagni
di viaggio controvoglia che nel corso del loro viaggio si legano sempre
più l'uno all'altro, ripercorrendo il
modello di un rapporto conflittuale
simile a quello di molte coppie della screwball comedy americana.
Ma avendo ora come
controparte una ragazzina, il ritratto che Bogdanovich restituisce è
delicato, movimentato da un vena
brillante, ma al contempo
commovente senza essere sdolcinato. Per la protagonista Addie questo è un
viaggio di formazione, la scoperta dell'America e di un modo di essere
americani, una ricerca del proprio posto
nel mondo, ma in questo quadro Bogdanovich rimanda per contrasto al modello
cinematografico di bambina che dominava nell'epoca in cui è ambientato film,
rappresentato da Shirley Temple.
Il film è anche infatti un
atto d'amore per il cinema classico da parte di uomo di cinema a tutto tondo,
che è stato regista, sceneggiatore e teorico, ed è proprio per questo ricco di rimandi ed
atmosfere che vanno da John Ford a Howard Howks. Si
connota pero' anche come una riflessione sulla cultura
americana di quegli anni, rifacendosi sì a tratti e stilemi del cinema degli anni '30, ma non
in maniera nostalgica, bensì come una approfondita modalità di conoscenza di
quel periodo, conoscenza, per cosi dire, di secondo livello.
Il
film fu accolto con notevole successo, tanto che ne venne anche tratta una
serie TV che pero' non rispecchio' le attese e venne ben presto sospesa.
Monica Dal Bò
Gruppo Cinema Arsenale Rosebud
lunedì 15 aprile 2013
Incontro con Andrea Baranes giovedì 18 aprile
Giovedì
18 aprile
alle ore 20.45
l’associazione culturale Porte
Aperte
vi ricorda l’appuntamento con Andrea
Baranes
presso la sede in via Matteotti 14/A (Castelfranco Veneto) per l’incontro
CAPIRE
E SUPERARE LA CRISI.
Nato
a Roma nel 1972, laureato in Ingegneria chimica, dal novembre del 2011 Andrea
Baranes è presidente della FondazioneCulturale Responsabilità Etica, della rete di
Banca Etica. È
portavoce della coalizione Sbilanciamoci! e della campagna 005 per
l'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie. È membro del Comitato
Etico di Etica Sgr. È stato responsabile delle campagne su
istituzioni finanziarie private presso la CRBM (Campagna per la Riforma della Banca
Mondiale). È autore di
diversi libri sui temi della finanza e dell'economia, tra i quali "Finanza per
Indignati" (Ponte Alle Grazie), "Come depredare il Sud del mondo" e "Il grande
gioco della fame" (Altreconomia) e "Per qualche dollaro in più – come la
finanza casinò si sta giocando il pianeta" (Datanews). Collabora con riviste
specializzate nel settore economico e della sostenibilità, quali "Valori" e
"Altreconomia" e con i siti Sbilanciamoci.info e Non Con I Miei
Soldi.
martedì 9 aprile 2013
Dal Grappa al Piave - 12 e 13 aprile 2013
Città di Castelfranco Veneto - Assessorato alla Cultura
Associazione culturale - PORTE APERTE
Castelfranco Veneto
Dal Grappa al Piave.
Luoghi e memorie della Prima Guerra Mondiale:
verso il centenario
PROGRAMMA DELLA
MANIFESTAZIONE
Venerdì
12 aprile 2013 – ore 20.45–23.00
Teatro
Accademico
Saluti
Dott. Giancarlo Saran,
Assessore alla Cultura del Comune di Castelfranco Veneto
Memoria e
rielaborazione letteraria
Michele Bordin
Introduzione
INTERVENTI
Michele Bordin
Dottore di ricerca in Italianistica
(Università di Venezia); docente di materie letterarie (I.P.S.S.A.R. “G.
Maffioli”, Castelfranco Veneto).
Sacrifici umani: la Prima guerra mondiale nella poesia di Andrea Zanzotto
Paolo Malaguti
Scrittore; docente di materie letterarie (Liceo
Ginnasio Statale “G.B. Brocchi”, Bassano del Grappa).
È autore del romanzo Sul Grappa dopo la vittoria, Treviso, Santi Quaranta, 2009 (Premio
“Latisana per il Nord-Est”, 2010) e di Sillabario
veneto. Viaggio sentimentale tra le parole venete, Treviso, Santi Quaranta,
2011.
Andrea Molesini
Scrittore;
docente di
Letterature comparate (Università di Padova).
È autore del romanzo Non
tutti i bastardi sono di Vienna, Palermo, Sellerio, 2010 (Premio SuperCampiello,
Premio Comisso e Premio “Latisana per il Nord-Est”, 2011).
Letture
in forma scenica di poesie di Andrea Zanzotto e brani delle opere di Malaguti e
Molesini a cura del gruppo teatrale Lo
Specchio e accompagnamento di improvvisazioni al pianoforte del M.° Jeremy
Norris
Sabato
13 aprile 2013 – ore 9.30–13.00
Teatro
Accademico
Storia, memorie, rappresentazioni e percezioni
contemporanee
dei luoghi e degli spazi della Grande Guerra
tra Grappa e Piave
Giacinto Cecchetto
Introduzione
INTERVENTI
Livio Vanzetto
Storico, già
direttore ISTRESCO; dal 1996 al 2012 docente a contratto di “Storia del
giornalismo e delle comunicazioni sociali” (Università di Trieste)
Cima Grappa, luogo di costruzione
della memoria
(con
proiezione del docufilm “Monte Grappa luogo della memoria” di Massimo
Prevedello e Livio Vanzetto)
Francesco Vallerani
Professore
ordinario di Geografia (Università Ca’ Foscari, Venezia)
Hanno combattuto per questo? La Grande Guerra e il
Veneto: da paesaggio della memoria alla frammentazione postmoderna.
Vai alle immagini dell'evento (youtube)
oppure
guardale in questa pagina:
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